lunedì 26 novembre 2007

prova intercorso

- la prova intercorso si terrà il 13 dicembre alle ore 9 (aula ottagono)

- per poter sostenere la prova è necessario prenotarsi il giorno 27 oppure il giorno 29 novembre durante le lezioni (laddove il numero di prenotati dovesse essere superiore alla capienza dell'aula provvederò a comunicare una soluzione alternativa)

- alla prova intercorso possono partecipare tutti coloro che desiderano farlo. chi non supera la prova (oppure non si presenta, oppure decide di rifiutare il voto etc.) può presentarsi (o ripresentarsi) a sostenere la prova scritta in una delle sessioni d'esame regolarmente previste durante tutto l'anno accademico

la prova intercorso prevede due domande aperte riferite ai seguenti libri di testo: Bifulco-Vitiello (a cura di), Sociologi della Comunicazione; Cavicchia-Pecchinenda, Il foglio e lo schermo

consentitemi una parentesi: la prova intercorso è pensata per coloro che stanno (appunto!) seguendo le lezioni. I riferimenti da me riportati nel blog non costituiscono "materia a se stante", bensì materiale di supporto (o integrazione) per coloro che stanno seguendo il corso. Ciò premesso, chi volesse sostenere la prova senza aver seguito le lezioni potrà farlo benissimo studiando direttamente dai libri (purché si prenoti o si faccia prenotare da qualcuno il 27 0 il 29...): non è prevista alcuna discriminazione di nessun tipo. L'unico rischio può essere (come sta di fatto accadendo) una certa confusione sulla bibliografia. A scanso di equivoci ribadisco che i testi sono quelli appena ricordati! (per coloro che stanno seguendo le lezioni mi auguro non ci siano motivi di confusione)

- la prova intercorso può essere sostenuta indipendentemente dall'anno di iscrizione o dai crediti fino ad allora acquisiti! altra cosa è la possibilità di sostenere la prova orale a febbraio senza averne i prerequisiti (in tal caso ogni situazione dovrà essere valutata singolarmente, a seconda della posizione certificata dalla segreteria studenti)

domenica 25 novembre 2007

Lezioni X e XI (a.a. 2007-08)

In queste due lezioni è stato innanzitutto completato il discorso relativo alle tesi di Breton, con particolare riferimento al suo concetto di Homo Communicans.
Come già accennato, per Breton, le caratteristiche principali dell'uomo comunicante sono iscritte nel modello disciplinare della Cibernetica.
Attraverso tale idea ritroviamo innanzitutto una poderosa critica nei confronti di tutte quelle concezioni teoriche che postulano una qualunque interiorità dei fenomeni, in quanto si afferma che "tutto può essere spiegato in termini di relazioni", implicando quindi che tutto è posto all’esterno.

Ogni fenomeno, e ogni essere, può essere paragonato metaforicamente ad una cipolla, ovvero ad un insieme di esteriorità sovrapposte senza nucleo interiore, in quanto tutto ciò che è interno viene posto all’esterno; da ciò scaturisce anche la nuova concezione dell’Homo Communicans, un uomo ormai spogliato della sua interiorità, immerso nelle relazioni e negli scambi d’informazione con i suoi simili e con la struttura sociale.

Questa potrebbe essere anche una spiegazione del successo dei media, l’attaccamento dell’uomo alla Tv, o al computer: una nuova visione della realtà, anticipata dalla Cibernetica, ma di cui solo attualmente si sta prendendo coscienza; una ridefinizione dell’uomo e dei suoi rapporti con la realtà.

Inoltre Breton spiega le ragioni per le quali la comunicazione deve diventare un valore centrale, in particolare per il timore dell’anomia. Questo paradigma si sviluppa intorno ad un’asse che contrappone l’informazione all’entropia, partendo dalla constatazione che tutti i sistemi chiusi sono minacciati dall’entropia. Ora, l’esatto contrario dell’entropia è rappresentato dall’informazione vivente che circola e che rende “aperti” i sistemi. Se i canali informativi vengono mantenuti ampiamente aperti e comunicanti, se può essere effettuato il trasferimento delle decisioni politiche - come sosteneva Wiener - a vantaggio di macchine capaci di apprendere, allora ci saranno le condizioni per l’istituzione di una società migliore. Tuttavia, dietro questo paradigma che sembra ragionare per dicotomie, (informazione/comunicazione ed entropia), si presentano molte contraddizioni.

Uno dei primi effetti della trasposizione utopica delle nuove tecniche di comunicazione e dei media è un radicale spostamento del ruolo e della funzione dello strumento rispetto alla sua finalità: lo strumento non è più un mezzo ma diventa il fine. Si potrebbe, quindi, parlare di una sorta d’idolatria dello strumento: una versione contemporanea dell’adagio classico, la comunicazione non è più fatta per l’uomo, ma l’uomo è fatto per la comunicazione.

L’effetto perverso di una simile inversione, in cui il mezzo si trasforma in fine, risiede nel fatto che lo strumento non serve più a realizzare ciò per cui era stato ideato, ma finisce per funzionare solo per se stesso. È proprio quello che sta accadendo con l’universo dei media e il traffico delle comunicazioni: si pensa che i nuovi strumenti svolgano una funzione di mediazione; che siano concepiti per aiutare gli uomini a comunicare meglio, finendo per diventare la presunta risposta alla consapevolezza della separazione sociale, dell’allontanamento gli uni dagli altri, congiunta al desiderio di avvicinamento.

Breton, inoltre, sembra caratterizzare i complicati dispositivi mediatici con dei luoghi comuni sui media, in particolare sulla Tv.: pornografia del voler vedere tutto; distruzione della verità in sostituzione alle costruzioni dei possibili punti di vista; diffusione dell’ignoranza sotto forma di illusione del sapere massificato di luoghi comuni.
Diversi sono gli esempi attuali che ci mostrano con efficacia le conseguenze dell’estensione dell’impero dei media e di una concezione utopica del ruolo degli strumenti di mediazione. Il primo riguarda la confusione, ormai consolidata, tra informazione (nel senso di informazione sugli eventi) e conoscenza. Confusione che porta a rivendicare tutto in termini di informazione, svuotando la conoscenza della sua sostanza. Il secondo esempio, che ha conseguenze più ampie, è la crescente diffusione dell’idea secondo la quale i media istituzionalizzati e professionali sono una presenza assolutamente necessaria, e sono i soli e gli unici a detenere il monopolio della circolazione dei messaggi: divenuti il centro, mentre erano solo uno strumento.
Queste nuove forme, che per ora sono ad uno stato nascente, sono tanto più difficili da individuare in quanto si associano a una imponente dinamica collettiva. Altri effetti apparentemente contraddittori sono l’omogeneizzazione planetaria dei gusti, delle norme e dei comportamenti, la costruzione di uno spazio pubblico universale, e al tempo stesso, un ripiegamento dell’individuo su se stesso.

Secondo Breton attualmente l’utopia della comunicazione sembra imporsi come l’unico valore, l’unica utopia funzionante in grado di risolvere ogni problema, in quanto portatrice di trasparenza, consenso, ed equilibrio sociale. Essa sarebbe oggi il solo valore sul mercato delle idee che abbia un fondamento e una connotazione dominante e capace di ottenere una forte adesione. Questa trasformazione del tema della comunicazione in utopia mostra sino a che punto ci troviamo in un’era del “disincanto”, come molti pensano.
Le derive di questa utopia della comunicazione rinviano, come riflesso, ad uno dei temi essenziali del nostro tempo, l’esigenza di ricostruire la rappresentazione dell’uomo e della società; per mettere in moto questo processo non si potrà, secondo Breton, fare a meno di un granello di utopia, ma neppure, anzi tanto meno, di un forte senso critico.

Al di là dei riferimenti alle teorie di Breton, è stato notato come l'homo communicans presenti delle caratteristiche che per molti versi si distaccano notevolmente da quelle del cosiddetto homo legens già precedentemente incontrato. In particolare, le differenze principali riguardano il diverso livello di individualizzazione.

A questo punto si è reso dunque necessario tornare su tale concetto, riprendendo e approfondendo i temi presenti nel capitolo 3 del libro "Il foglio e lo schermo", pp. 31-44.
In particolare sono stati analizzati:

- la nascita del concetto di individuo nella cultura greca;
- il rapporto causale tra scrittura e individualizzazione (e le sue principali caratteristiche);
- alcuni esempi di culture orali scarsamente individualizzate (i Canachi studiati da Maurice Leenhardt);
- l'individualizzazione in chiave evolutiva.

venerdì 16 novembre 2007

Lezioni VIII e IX (a.a. 2007-08)

Prima di affrontare altri autori relativi all’antologia, sono stati introdotti i principali temi introduttivi al volume “Il foglio e lo schermo”.
In particolare, si è cominciato a discutere del tema di fondo che percorre il libro: le conseguenze sociali della nascita e del tramonto della scrittura, con particolare riferimento alle trasformazioni inerenti la memoria e l’identità.

Una prima serie di spunti significativi sono stati evidenziati a partire dall’analisi dell’opera (letteraria e cinematografica) “Fahrenheit 451” (di cui è consigliata la visione), così come viene presentata nel testo (pp. 7-11)
(Per ulteriori approfondimenti può essere utile anche un’occhiata alle riflessioni e ai commenti emersi a seguito della lezione (a.a. 2006-07) dello scorso 28 maggio presente su questo blog)

Le altre questioni discusse possono essere inoltre approfondite facendo riferimento ai capitoli I e II (pp. 13-17 e 19-30) del volume, che si raccomanda di studiare bene.

Per quanto riguarda gli autori dell’antologia, sono stati presi in considerazione, nel corso di queste due lezioni, Joshua Meyrowitz e Philippe Breton.

Dopo aver ripreso quelli che sono i riferimenti teorici (Mc Luhan e Goffman) di base utilizzati da Meyrowitz nel suo saggio (Oltre il senso del luogo), sono stati presentati i concetti principali ripresi dal suo lavoro:

- Struttura delle Situazioni Sociali
- Geografia Situazionale
- Sistema informativo (e capacità di “accesso alle informazioni”)
- I media e il rapporto tra scena e retroscena nell’interpretazione dei ruoli sociali

Per approfondimenti cfr. Bifulco-Vitiello, pp. 67-78


Breton (pp. 188-199 dell’antologia) è stato inserito a questo punto del programma in quanto ridiscute e ripropone, con opportune ed originali critiche, alcune questioni presenti negli approcci connessi al determinismo tecnologico.

Il suo principale saggio (L’Utopia della comunicazione) è fondato su di una semplice domanda: perché oggi si parla tanto, e in modo sempre connotato positivamente, di comunicazione? Quali sono stati i processi sociali e tecnologici che hanno condotto alla formazione di quella che viene definita “società della comunicazione”?

Nelle risposte a queste domande si evince che il solo determinismo tecnologico risulterebbe insufficiente a spiegare il fenomeno. Gli indicatori presi in considerazione dal ricercatore francese

La storia della comunicazione moderna fa risalire al secolo dei Lumi e successivamente al XIX secolo la nascita di una sensibilità molto forte per la comunicazione e per le speranze ad essa connesse. A quell’epoca si può anche far risalire l’idea secondo la quale lo sviluppo dei media e della libertà di comunicazione rappresentano le condizioni essenziali del progresso dell’intera società.
Più tardi però – anche se su quello stesso filone – si è sviluppata una corrente di pensiero di impostazione utopistica che ha fatto della comunicazione l’asse centrale della riorganizzazione della società.
Tuttavia è però necessario chiedersi – secondo Philippe Breton – in che modo la società della comunicazione ha sostituito quelle che l’hanno preceduta, quali sono stati i processi culturali e sociali che l’hanno accompagnata, quali i suoi effetti e, infine, in quali altri modi essa si potrà riciclare.

Numerosi indicatori fanno intravedere nessi sotterranei che possono mettere assieme le due guerre d’inizio secolo che hanno così profondamente scosso le coscienze collettive, e la formazione di una nuova utopia, che nasce proprio – è questa la sua tesi – come un serio tentativo di risposta al fallimento incombente della società dell’epoca. È proprio nell’inquieta prima metà del ventesimo secolo che infatti si genera l’idea della “società della comunicazione”. Più precisamente, gran parte dei paradigmi sulla comunicazione emergono a partire dagli anni ‘40, periodo che segna anche, e non è un caso, il definitivo precipitare del conflitto mondiale “nella barbarie” più assoluta.

Il progetto utopico – nato nel periodo più buio della storia europea e in reazione ad esso – viene individuato nella comunicazione, e quest’ultima viene presentata, con tutte le sue strabilianti tecnologie e i suoi nuovi strumenti, come un superiore rimedio a tutte le disfunzioni sociali. Un valore alternativo alla barbarie, al razzismo e all’esclusione.
Sembra oramai assodato che i mutamenti contemporanei avvenuti nella nostra società vengano messi in moto da questo progetto, e che la società della comunicazione sia per molti aspetti “un mito”.
Nel volume citato, Breton attua innanzitutto una ricognizione delle radici dell’ideologia della comunicazione che egli fa risalire ai lavori dei primi cibernetici, individuando in essi la formazione di tale idea, dei dispositivi e anche i suoi effetti perversi. Il ricercatore francese parte dal presupposto che la caratterizzazione comunicativa sia un valore-cornice della nostra epoca, anche se la situazione attuale non è del tutto nuova. D’altronde il comunicare e l’elaborare tecniche destinate a questo scopo, si presentano come una costante antropologica e come un quadro di pratiche fortemente connesso a contesti storici. Sembra anche banale doverlo ricordare, ma la comunicazione e le sue tecniche sono aspetti costitutivi dell’umanità e, per quanto primitivo fosse, l’uomo della preistoria, egli dedicava senza dubbio una buona parte delle sue energie non solo a comunicare, ma anche a “riflettere” su come far funzionare la comunicazione.

L’ipotesi secondo la quale la base stessa dell’umanità si trovi e si sviluppi proprio in quella forma di “riflessione” non è affatto priva di fondamenta, per quanto speculativa possa sembrare. Da questo punto di vista l’uomo è un essere comunicante, in parte strutturato da una sorta di pulsione ad esteriorizzarsi, ad “uscire da sé”, che lo anima. Proprio su questa costante antropologica si sarebbe strutturato il sistema sociale, ampliando sempre di più le possibilità umane e così trascendendo i limiti corporei.
Fondamenti della modernità simulano questo sistema iniziale, ovviamente perfezionato con alta tecnologia, ma i contenuti essenziali si fanno derivare però da quel crogiolo iniziale, da quella svolta cruciale del secolo di cui le due guerre mondiali sono l’espressione visibile. L’origine ed il successo della nuova “società della comunicazione” costituirebbero la reazione e la ridefinizione costitutiva della modernità. Originatosi nei tormenti di una lunga guerra mondiale e nei soprassalti di un drammatico degrado del legame sociale, il ricorso universale alla comunicazione si lega così a specifiche circostanze storiche, che gli conferiscono senso e portata sociale.

Secondo Breton tre grandi tappe ne segnano lo sviluppo, uno sviluppo che, a partire proprio da quegli anni, coinvolge tutta la società in una spirale nel contempo unificante e generalizzante.

La prima tappa va a collocarsi in seno alla nascita della Cibernetica, disciplina o per meglio dire insieme di discipline, esplicitamente votate alla ricerca delle leggi generali della comunicazione, sia che interessino fenomeni naturali, sia che riguardino le macchine, gli animali, gli uomini o le società. Loro obiettivo è la costruzione di un campo interdisciplinare che unifichi sotto lo stesso nome un insieme di fenomeni già noti, nei campi della neurofisiologia, della telefonia, della matematica, della fisica e dell’antropologia. Lo sviluppo della Cibernetica ha portato alla nascita della nuova nozione di comunicazione e a una reinterpretazione del campo disciplinare. Norbert Wiener, uno dei fondatori di questa rete iniziale, sottolinea con la sua esplicita volontà l’estensione della nozione di comunicazione al campo d’analisi e poi dell’azione politica e sociale.

Parallelamente, l’uso di questa nozione continuava a svilupparsi e ad arricchirsi, ad esempio con la teoria dell’informazione di Shannon, che diviene la seconda tappa fondamentale per l’epistemologia contemporanea, risolvendo i fenomeni in reti di relazioni.

Tuttavia l’immediato dopoguerra si pone come terza e decisiva fase, non intesa a livello lineare o cronologico, nella storia della comunicazione moderna, che si compie in un rapporto diretto con l’evoluzione della società occidentale, segnata in profondità dal secondo conflitto mondiale. Qui nasce un’esigenza di riscatto, determinata da una perdita di punti di riferimento e testimoniata da questa rovinosa condizione del dopoguerra dove: “tutto viene messo in discussione”.
È in quest’ottica che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione appare come priorità; promuovendo nuove concezioni, in cui questo sviluppo figura come una necessità funzionale al sistema, fornendone un quadro di apertura globale.
Accanto alla crisi ideologica si pone, nello stesso tempo, l’esigenza di un valore che sia motore trainante per il mutamento di una società basata proprio sulla trasparenza comunicativa: “ormai nulla deve accadere in un angolo oscuro dell’umanità, così non esisterà più l’oscuro segreto nel quale è stato preparato il genocidio nazista”.

La comunicazione, trasparente ed immanente che soddisfa bisogni sociali, diventa un’ossessione che costituisce una risposta perfetta alla crisi del ventesimo secolo.
L’originalità di questo nuovo paradigma della comunicazione è testimoniata da un nuovo modo di fare scienza, da una nuova definizione dell’uomo, dall’introduzione di alcune nozioni che hanno alimentato le nuove teorie delle scienze della comunicazione.
Wiener, precursore di tale paradigma, critica dapprima il metodo funzionale delle scienze classiche, sostenendo che non è soddisfacente poiché si interroga esclusivamente sul contenuto dei fenomeni di cui la scienza si occupa sul versante interno degli oggetti: “Le relazioni che si interporranno tra i fenomeni contano più di ciò che essi sono”. Breton pone l’attenzione su questo presupposto, considerando le relazioni esistenti tra i fenomeni non come un aspetto tra gli altri, bensì come integralmente costitutive della modalità d’esistenza dei fenomeni stessi. Egli individua così la genesi di una tesi molto forte, specialmente dal punto di vista epistemologico, che reinterpreta la realtà in termini di informazione e comunicazione, proponendo una nuova visione del mondo globale e unificante, organizzata attorno al punto focale della comunicazione, tale da sfiorare tutte le discipline e contenente in germe la trasformazione della comunicazione in un valore di ampia portata sociale e politica.


La novità di questa nuova concezione non risiede nel fatto che vengono posti in scena Informazione e Comunicazione, quanto piuttosto nel fatto che lo scambio di informazioni e relazioni è integralmente costitutivo dei fenomeni sia naturali che artificiali.

Per Breton i lineamenti dell’uomo comunicante, le sue caratteristiche, la sua “natura” sono iscritti nel modello disciplinare della Cibernetica, “scienza dei comandi, unificati, dei controlli dell’uomo e delle macchine”.
Attraverso la comunicazione – “ogni organismo è la somma delle informazioni che può scambiare nelle reti in cui può entrare”. Là si colloca l’idea che: “nella nuova società tutto è comunicazione”, costituendo la base di un discorso che possiamo definire utopico e che approfondiremo nelle prossime lezioni.

giovedì 15 novembre 2007

Lezione VII (2007-08)

L’ultimo autore che prenderemo in considerazione per quanto riguarda il determinismo tecnologico è Régis Debray.

L’analisi delle teorie di questo autore verrà affrontata meno dettagliatamente rispetto agli altri due finora considerati. I concetti principali da studiare riguardano innanzitutto la MEDIOLOGIA e la MEDIASFERA
La mediologia è, come dice lo stesso autore nell’opera Course de médiologie générale [1991], :
«lo studio delle mediazioni attraverso le quali un’idea diviene forza materiale, mediazioni di cui i nostri media non sono che un prolungamento particolare, [...]».

Con il concetto di mediasfera (come abbiamo visto già nel caso di gli altri studiosi deterministi) Debray propone una periodizzazione della storia umana, divisa in tre grandi periodi (mediasfere, appunto) dove con tale termine si intende:
«l’applicazione, all’universo della trasmissione e dei trasporti, della nozione di “ambiente”».

Tali mediasfere non risultano essere mutuamente esclusive, ma interagiscono tra loro e si sovrappongono, esse sono caratterizzate dall’egemonia di alcune tecniche di trasmissione in diversi epoche.

Le tre mediasfere sono:
• Logosfera, periodo in cui domina essenzialmente la scrittura a mano, pur se è forte la fase dell’oralità;
• Grafosfera, periodo in cui domina la stampa che condurrà a forme di lettura privata, alla nascita di un soggetto razionale e al centro del mondo;
• Videosfera, periodo che vede l’avvento dei mezzi audiovisivi e in cui ogni aspetto della realtà viene inserito nell’ambito visivo.

A ciascuna mediasfera corrispondono visioni particolari di altri ambiti della vita.

Per ulteriori approfondimenti cfr. Bifulco-Vitiello, Sociologia della comunicazione, pp. 39-56